Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Assedio di Arsuf

1099

Il comandante crociato

Goffredo conte di Buglione, duca della Bassa Lorena

Il suo nome è strettamente legato con le vicende della prima crociata: e capo, appunto, della crociata lo considerano la tradizione storica e la leggenda. Della sua vita prima del 1095 sappiamo poco. Nacque verso il 1060 da Eustachio II, conte di Boulogne, e da Ida, figlia di Goffredo II duca della Bassa Lorena (Paesi Bassi). Nel 1076 lo zio, Goffredo II di Lorena, a cui Matilde di Canossa non aveva dato figlioli, riconobbe il giovane Goffredo come erede; ma l'imperatore Enrico IV si oppose e incamerò il ducato, solo concedendo a Goffredo la marca di Anversa con le contee di Verdun, Mosay, Stenay e Bouillon, dalla quale ultima sua residenza preferita Goffredo ebbe forse il nome. Partecipò poi alla guerra civile di Germania, parteggiando per Enrico IV, e si distinse nella battaglia dell'Elster del 1080 e nella spedizione romana del 1083. Ne ebbe in ricompensa il ducato della Bassa Lorena. Poco sappiamo di Goffredo negli anni seguenti: neppure della sua decisione di andare crociato. Leggendario è il suo pellegrinaggio anteriore al 1095 in Terra Santa. Solo nell'estate del 1096 egli partì per Gerusalemme con i fratelli Eustachio e Baldovino e un esercito che alcuni cronisti calcolano di 30.000 fanti e 10.000 cavalli, altri di 70.000 fanti e 10.000 cavalli: cifre eccessive. Per le spese della spedizione Goffredo vendette, al prezzo di 7000 marchi, i castelli di Stenay e di Bouillon. Da quel che sappiamo sulle relazioni di Goffredo con i re d'Ungheria e l'imperatore di Bisanzio, possiamo rilevare la sua prudenza e severità: a Costantinopoli, si trovò, forse per il suo legame feudale con Enrico IV, in aspro conflitto con l'imperatore Alessio, che esigeva da lui giuramento di fedeltà. Ma fatto il giuramento, vi si mantenne fedele. In Anatolia e in Siria, si distinse per energia e per valore, intervenendo come pacificatore nelle lotte fra Boemondo d'Altavilla e Raimondo di Tolosa. E tuttavia, non aveva nessuna funzione direttiva nella spedizione: il comando era di altri. Solo dopo l'occupazione di Tortosa Goffredo si atteggia, per rivalità col conte di Tolosa, a capo del partito di quelli che volevano proseguire su Gerusalemme. Conquistata la città santa, il rifiuto di Raimondo di capeggiare la difesa, fece cadere la scelta su Goffredo di Buglione: e pare che allora si sia chiamato "difensore della chiesa di Gerusalemme". Leggenda posteriore è quella del rifiuto suo di chiamarsi re e portar la corona, dove il Cristo aveva portato la corona di spine. Nel 1099, nessuno pensava alla creazione di un regno in Palestina: sarebbe stata una violazione dei patti con l'imperatore bizantino e una mancanza nei riguardi dell'imperatore tedesco. Merito di Goffredo fu la difesa di Gerusalemme contro l'attacco egiziano, e la vittoria di Ascalona. Morì a Gerusalemme il 18 luglio 1100. La tradizione lo esaltò e Dante la seguì, collocando Goffredo fra i principi saggi e giusti (Paradiso, XVIII, 47); ma gli storici moderni tendono a diminuirne l'importanza, il merito e la capacità.

La genesi

Eransi finalmente stabiliti i Crociati nell'antico regno d'Israele, che per le memorie della religione veneravasi altamente dai popoli Occidentali. Quando le Aquile romane se ne impadronirono, al primitivo nome di Giudea, quello di Palestina fu aggiunto; e furono confini dello stato da meriggio le sabbie del diserto che fino all'Egitto si stendono; a Oriente l'Arabia; a occaso il Mediterraneo; e a settentrione le montagne del Libano. A tempo delle Crociate, come anco presentemente una gran parte del suolo di Palestina, mostrava aspetto qual è di terra maladetta dal cielo; la quale sebbene anticamente (così affermano le Scritture) fosse stata concessa al popolo eletto di Dio, aveva nondimeno dipoi cangiato più fiate abitatori, sendosene disputato il possesso con le armi tutte le sette e tutte le dinastie mussulmane; onde e per le mutazioni di stato e di genti e per i furori della guerra, la metropoli e le sue minori città erano di mine ingombre; cosicché da non altro che dalle religiose opinioni de' Mussulmani e de' Cristiani facevasi importante il conquisto della Giudea; e non pertanto il credere dello squallore e della sterilità di quello sventurato paese, quanto ne riferiscono i viaggiatori, sempre disposti alla esagerazione, non conviensi. Qualunque però fosse la condizione della Giudea al tempo di Goffredo, se il nuovo re avesse stesa la sua autorità sopra tutto il territorio, la sua potenza non sarebbe stata in nulla inferiore a quella degli altri principi Mussulmani dell'Asia; ma il nuovo regno di Gerusalemme consisteva soltanto nella capitale e in circa venti terre o borghi del suo contado; in tra le quali terre alcune anco ne erano occupate tuttavia dagli infedeli; sicché non era raro vedersi propinqua a una fortezza cristiana, un'altra che inalberava lo stendardo del Profeta. Correvano oltre ciò le campagne Turchi, Arabi ed Egizii che si accozzavano in drappelli per molestare i sudditi di Goffredo, che nemmeno nelle città erano sicuri, tenendovisi insufficienti e negligenti presidii, che più che altro allettavano il nimico ad assaltarle. Perciò non coltivavansi le campagne e le comunicazioni rimanevano interrotte.

Tra tanti pericoli molti Latini abbandonavano i possessi che s'erano con le armi guadagnati; onde affinché il paese non si disertasse, fu fatta provvigione; che qualunque persona avesse dimorato un anno e un giorno o in una casa o in terra coltivata, ne divenisse legittimo possessore, mirandosi così con il diritto del possesso a fortificare l'amore della nuova patria: per la qual medesima ragione perdevasi il detto diritto del possesso dopo una pari assenza dal luogo posseduto. Re Goffredo applicava l'animo a reprimere le ostilità de' Mussulmani e a dilatare i confini del suo regno; mandò Tancredi in Galilea ove si impadronì di Tiberiade e di altre città propinque al Giordano, e dettegli dipoi per premio il paese conquistato con titolo di principato.

La battaglia

Arsuf, città marittima fra Cesarea e Joppe, negava pagare il tributo impostole dopo la vittoria di Ascalona, perché Goffredo v'andò a campo co' suoi cavalieri. Mentre stringevala con gli arieti e le torri rotate, e dopo dati alcuni assalti, parea prossima l'espugnazione, gli assediati ricorsero a un nuovo modo di difesa, certo non preveduto dal re; perché essi assediati attaccato a lunga trave Gerardo d'Asvenes, che era stato dato loro in ostaggio, fu posto davanti al muro combattuto; ond'egli vedendosi esposto a morte inevitabile e senza gloria, cominciò dolorosamente a dolersi e scongiurare il suo amico Goffredo che con prudente ritirata gli salvasse la vita. Ma Goffredo che non voleva perdere l'occasione di tanto utile vittoria, fattosi presso a Gerardo, esortavalo a meritarsi con cristiana rassegnazione la corona del martirio, assicurandolo che in simile circostanza non avrebbe fatto grazia della vita né meno al suo fratello Eustachio; e conchiuse dicendoli: Muori dunque da bravo e illustre cavaliere come il debbe un cristiano eroe; muori per l'utilità de' tuoi fratelli e per la gloria di Gesù Cristo. - Lo sventurato Gerardo conoscendo che il Suo pregare era indarno e che l'utilità va sempre innanzi all'amicizia, mostrò esser contento del martirio, e pregò i suoi compagni che offerissero per lui al Santo Sepolcro il suo cavallo di battaglia e le sue armi, e che facessero orazioni per la salvazione della sua anima. Dopo ciò ricomincio più feroce che mai l'assalto, e lo sventurato Gerardo scomparve nella tempesta degli strali, delle pietre e in tra l'urto delle macchine belliche e i nembi di polvere. Nondimeno il martire Gerardo non poté impetrare ai suoi la vittoria, sicché furono con molta perdita respinti. Successoro le nevi e le pioggie dell'iuverno che costrinsero Goffredo a levare il campo da Arsuf e a ritornarsene molto sconfortato a Gerusalemme.

Credevasi da tutti morto per indubitato il buon Gerardo, e il re ne aveva alcun rimordimento della coscienza; quando alcune settimane dopo la ritirata, videsi arrivare alla Città Santa sopra un bel palafreno lo stesso Gerardo, che come morto era da tutti compianto e desiderato. Il che avvenne in questo modo, che gli Arsuresi ammirando la eroica pazienza con che egli riceveva la morte, ne furono commossi, e toltolo dalla trave alla quale era appiccato, avevanlo mandato all'emiro di Ascalona e questi rimandavalo libero al re di Gerusalemme. Goffredo l'accolse con allegrezza e per ricompensarlo della vita che gli aveva voluta torre, dettegli la signoria del castello di Santo Abramo situato sulle montagne della Giudea al Scirocco di Betelemme. Durante il detto assedio di Arsuf, alcuni emiri discesi dalle montagne di Naplusio e di Samaria, vennero a far riverenza a Goffredo e offerirgli presenti di fichi ed uve secche. Il re di Gerusalemme stavasene allora seduto in terra sopra un sacco di paglia, senza insegna alcuna del suo grado e senza guardie. Ciò fece gran senso agli emiri che chiesero come un tanto principe le cui armi avevano tutto l'Oriente sconvolto, se ne stesse sedente sulla terra senza pure un guanciale e un serico tappeto. Ella è cosa avverata per la esperienza, che gli uomini reputati grandi e meravigliosi, quando primamente gli vediamo, tanto più maravigliosi e grandi ci appaiono, quanto più negli atti, nel vestire e nelle parole umili e di sè noncuranti ci si mostrano. Perloché il pio ed accorto Goffredo fece agli emiri questa morale risposta: Che forse la terra, dalla quale escimmo, e nella quale giaceremo morti, non ci può esser adatto seggio in vità? E cotal risposta avente sapore orientale, scudo quelle genti per natural carattere sentenziose e vaghe del moralizzare, empi gli emiri di grande ammirazione, dalla quale invasati s'accomiatarono dal Re, supplicandolo della sua amicizia; e fecero dipoi encomio per tutta Samaria della saviezza e semplicità degli uomini occidentali.

Le conseguenze

Divolgava oltreciò la fama molte maraviglie intorno alla robustezza e forza di Goffredo; raccontando come con un sol colpo di spada decapitasse qualunque de' più grossi cammelli. Ondechè un emiro a cui la novella sembrava spropositata, sendo anco esso in tra gli Arabi famigerato per gran vigoria di braccio, dispostosi volersene procacciare con gli occhi propri testimonio, andò a trovar Goffredo e lo pregò che della vista di sì gran fendente si degnasse compiacerlo. Goffredo fu grazioso all'inchiesta, e fattosi condurre davanti un grossissimo cammello, con un sol colpo del suo brando spiccavali il capo. Ora gli Arabi che erano presenti, siccome gente superstiziosa, mostravano suspicare che la spada di Goffredo per incantamento sì bel colpo operasse; del che accortosi il re, per togliere ogni dubbiezza, tolta la scimitarra dell'emiro, rinnovò la prova con non minore destrezza e felicità; onde l'emiro satisfatto andò testimoniando da per tutto, che quanto dicevasi di prodigioso intorno al re di Gerusalemme era verissimo e che non sarehbesi potuto trovar uomo più degno di comandare a nazioni. Ora quella famosa spada decollatrice de'Cammelli e fenditrice de'saraceni giganti, conservasi come ammirabile reliquia nella chiesa del Santo Sepolcro.



Tratto da:
"Storia delle crociate" scritta da Giuseppe Francesco Michaud, Volume 1, Firenze 1842